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L'arte mai nata

Il 1886 avrebbe dovuto essere un anno di svolta; è la data della fine dell’Impressionismo, Movimento nato vent’anni prima; ma questa svolta tanto decantata da storici e critici dell’arte non esiste, né mai è esistita. Non si fa altro che ripercorrere infinite volte gli stessi binari, sbagliati da sempre; perché si scelgono e si cambiano le tecniche al fine della rappresentazione, ma non si crea mai.
Dopo l’Impressionismo, Seraut e Signac, con pennellate puntiformi non fanno altro che continuare a “dipingere”, a manifestare, a dare immagine ad altro, come è sempre stato; che quell’“altro” fosse nella mente o al di fuori d’essa; ecco, è proprio il rapporto che lega il presunto atto artistico a ciò che si produce, il momento dell’azione umana che ha sempre nuotato annaspando nelle fangose acque dell’ovvietà più noiosa, e ormai vi affoga; è stato sempre, e continua ad essere, una ridicola corsa d’energumeni, allenati da incoscienti, nella danarosa pista della banalità più fastidiosa, della ripetitività più disarmante, dell’insensatezza totale. Non se ne può più di questa zanzara infetta e pericolosa che ci ronza negli orecchi e ci punge continuamente. Di questa furba, ma non intelligente seppia, che spruzza il suo viscido nero negli occhi, riuscendo a rendere ciechi. La presunta arte, quindi, è ormai ridotta a sollazzarsi tra sordi rumori, pruriginose punture e sputi annebbianti. Tutto ciò è volgare? Magari lo fosse! È semplicemente l’abito più lussuoso che ha scelto d’indossare la finzione. Peccato per lei che sia fatto di carta bagnata.
Cambia qualcosa nel susseguirsi dei decenni?
Cézanne ci presenta i suoi “intarsi” a toni bassi; ma i puzzle già esistevano. Gauguin continua la litania, anche se utilizzando colori piatti e rinchiudendo con forti contorni le figure; forse per paura che scappassero? Mi chiedo ancora dove sia la Creazione nel propinare recinti che rinchiudono vivaci cromatismi, trattandoli come pecore.
Van Gogh, per manifestare attraverso una gestualità materica che ricorre a punti e tratti, non fa altro che seguire le stesse vecchie orme di coloro che vedono o immaginano qualcosa e usano i mezzi che hanno, colori, tele, e tutto il necessario, per raffigurarla. E allora? La storia non cambia. Ci si serve di una tecnica per rendere in forma ciò che si vede davanti a se, o è nel pensiero.
E non troviamo l’Arte neppure nell’ingenua figurazione di Henry Rosseau o nel disegno caricaturale di Henry de Toulouse-Lautrec.
E arriva Vittore Grubicy de Dragon, patron di quel gruppo che con Segantini, Previati, Morbelli e Pellizza da Volpedo, sfilacciò la quotidianità tra raccolte di patate, maternità, stalle, ricoveri per anziani e masse di lavoratori; quindi nient’altro che una ripetizione, il pointillisme, che già s’era limitato a spiegare e ricostruire ciò che si vede, ma non creando. Si continuano a proporre oggetti, mettendoli su una superficie che possa sorreggerli; cos’altro se non questo?
E anche nella Mitteleuropa la storia continua noiosa con le “secessioni”; sicuramente furono tali, ma non nel volersi distinguere da tutti coloro che non schiudono lo scrigno contenente il potere che porta alla Creazione. Allora Klimt passeggia tenendo per mano Vienna, e inondandola d’oro, cesella con minuziose decorazioni prolificanti su una femminilità che s’abbandona alla sintesi delle fisionomie.
Giungono, poi, le cosiddette “avanguardie” del Novecento. Mai definizione fu più fuori luogo; si vuole, infatti, fare riferimento ad un ardito “porsi in avanti”; ma l’unico “porsi in avanti” che avrebbero fatto bene a compiere, sarebbe stato quello dal bordo di un precipizio infinitamente profondo nel quale scaraventarsi per liberare la scena da tanta insopportabile presunzione d’Arte!
Si parla, infatti, di “metodi”, ossia quelli che ritengo nient’altro che presunte miniere di diamanti.
Perché?
Non c’è Arte se il metodo non crea struttura costituita da sistemi di significanti assoluti immersi, logicamente e materialmente, nell’incantevole realtà pluridimensionale del Tutto, e i quali, tenendo per le redini tutti i significati in essi transustanziati, si collochino, quindi, al di là di qualsiasi diretta e univoca decifrazione alfabetica basata sull’uguaglianza di significazione dell’oggetto e del suo “rappresentante formale”; poiché ciò che avviene, allorché l’Arte s’erge asfissiante d’intenzioni di senso, è una transustanziazione dell’oggetto stesso. È così che il fruitore vive l’immersione nella dimensione transustanziata nell’Opera d’Arte insieme agli altri elementi ed eventi da me teorizzati con l’Espansionismo, essendo l’Opera d’Arte stessa in grado di servirsi attivamente della sua mente. È soltanto così che si ottiene, per “meccanismo assoluto”, unificazione tra fruitore e Opera d’Arte. Soltanto tale unificazione può scatenare l’atemporale dimenarsi del Tutto in preda alle irrefrenabili “Leggi”, passioni logico-materiche della sua stessa anima, per “possibilità necessaria”, assetata di sé. È solo allora che ci si può abbeverare alla fonte straripante d’infiniti alfabeti trans-linguistici.
Ma torniamo alla storia.
Francia, Germania e Austria accolgono l’Espressionismo; i suoi giochi rappresentativi si serviranno di primitivismo, forza del colore, tratti figurativi percorsi da estreme esasperazioni formali e senso simbolico e panteistico nel concepire la natura; si fa arte per esprimere i sentimenti. Ma l’Arte non è espressione d’alcunché!
Il Cubismo ostenta simultaneità. Non la ottiene. L’occhio si muove tra presente, passato e futuro sulla superficie di quadri e sculture. Vede, poi rivede ancora, si muove, si fissa su un altro elemento, per poi magari ritornare al già osservato. La simultaneità, tanto spavaldamente dichiarata, non è mai ottenuta, rimanendo, pertanto, al livello infimo d’una ridicola presunzione.
Futurismo, è il dinamismo che fa la prima donna. Ma come anche nel caso di tutto il resto delle produzioni “artistiche”, tutto ciò che viene realizzato s’inserisce perfettamente nella mai inosservata norma: è sempre un riportare forme su supporti, o anche un presentare oggetti veri e propri, essendo, sia le prime che i secondi, di qualsiasi genere di derivazione. Nell’intera storia dell’Uomo, si è sempre presentata l’immagine di qualcosa, o la cosa stessa. Anche se su presupposti differenti, ciò fanno tutti gli “artisti” a quel Movimento precedenti o ad esso successivi e appartenenti ad altre “poetiche”: Astrattismo, Suprematismo, Neoplasticismo, Metafisica, Dadaismo, Surrealismo, Espressionismo Astratto, Informale, Spazialismo, New Dada, Nouveau Realisme e Pop Art; tutte le Neoavanguardie degli anni sessanta e settanta, nonché le poetiche postmoderne degli anni ottanta e novanta, fino ai giorni nostri; non ci si discosta dal ripercorrere l’imbalsamante azione di sempre, tale poiché, in tutti i tempi, ha ucciso il “mai nato”; oggi è l’Espansionismo a disfarsi definitivamente di quella, facendo nascere l’Arte.
Ci si è sempre “ispirati” al già fatto; ma le impronte sono sempre lasciate da chi ha già percorso un sentiero; raccogliere è l’alibi di chi, con consapevolezza d’incapacità, si giustifica a priori. E ci si accorge come per l’ennesima volta non si fa altro che raccogliere per non creare mai! Il raccolto è sempre successivo alla semina. E il seme, seppur già infecondo, non può essere raccolto due volte! Ecco l’idiozia della ripetizione. È il ripetere, il trucco del potere. Perché la Creazione è cambiamento. Le cattedre cadrebbero! E le università si riempirebbero del nuovo. Ecco il pericolo che viene scongiurato. Ecco il pericolo che dobbiamo scatenare! «I vecchi paradigmi della scienza vengono cancellati solo quando i professori che li hanno proposti e che su questi hanno costruito le loro carriere scientifiche e didattiche e le loro fortune, sono morti»; così si pronunciò Max Plank, premio Nobel per la Fisica. E pensate che tale asserzione non sia estensibile anche al mondo della “cultura”?
L’Arte è immortale perché, se Arte, è l’eclettica Forza Logica del Tutto che si transustanzia non smettendo d’essere se stessa, e ci dice Il Perché. Emerge nello Sfavillante Istante; si fa accarezzare dal vento dell’Atemporalità; s’illumina di Materia.
Tutti hanno sempre detto di fare un’arte basata su qualcosa; gli spazialisti, per esempio, affermano di produrre nuove forme d’arte basate sui concetti dello spazio; ma che senso ha che l’arte sia “basata”!? Quindi, è come un dire che c’è un qualcosa di esterno all’arte stessa, che conferisce all’arte una “base”; ma se l’arte ha bisogno di un elemento esterno a sé che le dia una “base”, vuol dire che non è bastevole a sé stessa, e quindi non è Arte! L’Arte è l’Eccelso Organismo, e le “Leggi” non potrebbero mai avere qualcosa di esterno a se stesse che le “basi”, altrimenti non sarebbero le “Leggi”, e il Tutto cesserebbe d’esistere; le “Leggi” si transustanziano divenendo la dimensione, divenendo Arte. Ciò implica che le “Leggi” nella loro totalità, unitamente ad altri “elementi”, come teorizzo, diventino Arte, non lasciando niente al di fuori; ecco perché penso che l’affermare di trasmettere nuove forme d’arte basate sui concetti dello spazio, sia un affermare la non affermazione, e quindi l’assenza di senso, priva, tuttavia, di qualsiasi possibile insensatezza. Che vuoto immane!
«Il gesto che spacca la sfera», afferma Argan, «mette in comunicazione lo spazio esterno con l’interno, il gesto che fende la tela ristabilisce la continuità tra lo spazio al di qua e al di là del piano»; mai definizione ha contenuto in se stessa maggiore imbarazzante dichiarazione d’inutile banalità; infatti, la cosa più buffa è che al celebre Argan sia bastato descrivere l’ovvietà di ciò che è, per demolire involontariamente ciò che ha descritto. Già il buco della serratura aveva messo in comunicazione spazio esterno e interno! E già da miliardi di anni l’entrata delle caverne ristabilisce la continuità tra lo spazio al di qua e al di là del piano!
Lo spazialismo afferma d’esprimere forme, colore e suono attraverso gli spazi; ma mi chiedo: è mai esistita qualcosa creata dall’Uomo che non sia assimilabile a quella modalità espressiva?
L’arte, in generale, ha sempre sviluppato alcune premesse; è palese, quindi, come si sceglie di agire in un ambito, ossia quello “artistico”, non attingendo dal pozzo della conoscenza, ma da quello del conosciuto.
L’avere “esigenze espressive”, vuol dire cercare l’espressione attraverso un mezzo; l’Arte è transustanziazione, e quindi non contempla alcun “tramite” per sbocciare, ma si configura come Eccelso Organismo che non si serve d’alcun mezzo. Ponendo attenzione al mezzo, si sottintende un contenuto da esprimere; ancora una volta è espressione! È manifestazione d’“altro” dall’Oggetto Artistico in sé, altrimenti non si porrebbe attenzione al mezzo, poiché non lo si considererebbe definibile come tramite di un’istanza di pensiero o d’altro genere.
Ma gli artisti dello Spazialismo sono affascinati soprattutto da concetti quali energia, forze e correnti; c’è, quindi, attenzione posta al mezzo da gestire per creare l’opera nell’intento di usare i “traguardi storici dell’epoca” come fossero colori e pennelli, quindi superandone presupposto, collocazione e sviluppo, e proiettandone, invece, i riferimenti, in un ambito artigianale: i traguardi storici dell’epoca sono gli oggetti della presunta creazione! Quindi si scelgono in questo mondo i mezzi per creare l’opera, e i mezzi vengono prima dell’opera! E allora l’opera è un preconcetto! È un pregiudizio! Li precede nella mente di colui che vuole realizzarla! È prevista! Tutt’altro è l’Espansionismo che, invece, non presume alcunché, ma vive dell’Eccelso Organismo.
Tuttavia, prendere di mira soltanto lo Spazialismo, sarebbe riduttivo; tutti sono venditori dello stesso diamante di vetro; nient’altro che prezzata inconsistenza dalle variegate opache sfaccettature; tutto costa, ma niente Vale.
L’Arte è tutt’altro.
Arte è l’universalizzata emissione d’echi di spirito e corpo lanciati nell’istante, momenti logici e formali della più ardua complessità, percorsi da vene irroranti anima e sangue, e agenti in una dialettica insuperabile che ipostatizza il Valore attraverso i volumi, le linee, le articolazioni di sagome ch’esauriscono ogni ambizione di senso. Assumendo il Manifesto dell’Espansionismo come codice universale e assoluto della Creazione e della comunicazione atemporale, m’insinuo, eludendo i guardiani dell’orizzonte del Non-evidente, negli imperscrutabili meandri del Tutto e l’illumino, percorrendoli. Attraverso l’abbandono d’ogni esasperata finitezza formale, schiudo all’Umanità la reggia dell’ignoto, una dimensione in cui significato e significante dialogano ragionevolmente d’irrazionale, d’inesprimibile, lanciando risposte tuonanti. Presagio d’eterno, d’onnipotenza e d’onniscienza, è la bioelettronica che, schiantata sulla Croce di raggi d’informazioni generanti la Forma, s’appiattisce sui suoi bracci, e non la domina, l’accoglie. È il trionfo del sacro attraverso la profanazione dell’informe. Il brivido dell’illuminazione l’ha ispirata all’immanenza. Il soffio della trascendenza l’anima all’elevazione.
Con veemente Amore, è il momento di cogliere l’intima essenza d’un momento profondamente umano, sollecitandola ad emergere in gesti già rituali, poiché da tempo immemorabile radicati nella direzione della sinfonia cosmica, e non solo: è l’Opera d’Arte, ch’evoca il balenare d’argentei riflessi che nella tumultuosa lotta si dissolvono al sopraggiungere di spumosi nuvoloni insanguinati oscuranti il luccichio aureo d’onde che hanno dato la vita e ora, nel dolore, la donano perdendola. Transustanzio, con ferocia formale, la crudezza della necessità del dover divorare il tempo, per esistere; violenza nel perdere la Vita, un tempo inchinantesi al cospetto della necessità; oggi, umiliante l’intelletto umano.
È la danza delle “Leggi” a dirigere il concretarsi della struttura stessa della Liquida Luce, sfavillante, preziosissima e immutabile seppur mutante, consacrata da un giubilante tripudio d’armoniche sagome mosse con immobilità dal pulsante ritmo d’un cuore; scelgo di condurne l’Originaria esistenza, attraverso la dimensione dell’immagine mentale, nel fervoroso dialogo dei sensi fluenti nella ventosa corrente della percettibile concretezza; pregevolissimo intento attuato nell’immersione in quell’ebbrezza vivificante le coscienze dei pochi eletti che, nel pathos della danza trascinante il corpo in un immobile movimento enfatico travolgente il tempo e lo spazio, scorgono, afferrandone l’illuminazione infuocata, l’ardente gesto del Non-evidente.
Con l’Arte colgo l’impalpabile, l’impercettibile, l’ineffabile, dando vita a un’animata dialettica tra materia e antimateria spirituale, facendo coesistere le due entità attraverso una reciproca ed estatica contemplazione. L’inesauribile forza plastica, l’indomabile vigore logico, l’inderogabile impulso etico, sottintesi alle mie Opere, sono il riflesso d’un intento Totale, in grado d’affermazioni decise e anche urlate, se necessario, ma che non dimentica la veemente spinta dell’Allusione.
Ed è allora che il sipario si schiude.
Istantaneamente riflessi languidi rivelano, plasmandola, l’emergere della scena.
Visibile e Invisibile s’ergono, spavaldi e comprensibili, nel teatro dell’Essere.
Tumultuosi applausi accolgono la preziosa Creazione.
È il trionfo: l’Arte mai nata.
All’Amore dell’odio del male, ci ispireremo nella nostra Opera finale.

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