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Magnetismo mediterraneo

Anche ad Al Jazeera English l’eccellenza è italiana

Un antico proverbio arabo afferma che la bellezza di una donna non risiede nel suo viso. Per chi ha o ha avuto la fortuna di incontrarla di persona, sa che quella di Barbara Serra va  ben oltre i lineamenti mediterranei di uno dei volti-simbolo di Al Jazeera English, la versione anglofona di Al Jazeera, l’emittente araba con sede in Qatar. Magnetica, intelligente e solare, Barbara Serra rappresenta a pieno titolo l’eccellenza italiana proiettata nel mondo del terzo millennio: quello dell’informazione e di un villaggio sempre più globale, che la pluripremiata giornalista racconta dalla sede londinese di AJE, città in cui vive da quasi due decenni. In molti versi si possono trovare diverse affinità tra Barbara e il network in cui lavora. Se quest’ultimo è nato cinque anni fa per “dare al mondo un’immagine diversa di sé stesso”, Barbara, appellativo che i Romani usavano dare agli stranieri, per certi versi, diversa lo è sempre stata. Italiana di origini, cresciuta in Danimarca e londinese di adozione, Barbara racchiude in sé una rara combinazione di calore mediterraneo e mentalità nord-europea. Formula vincente per chi ha l’ambizione di adattarsi ad una realtà sempre più multietnica. Ma andiamo con ordine. Nata a Milano da madre siciliana e padre sardo, a 8 anni si trasferisce insieme alla famiglia a Copenhagen per seguire papà Giorgio. Qui inizia il suo cammino di ambasciatrice italiana, un paese «dal quale ha assimilato l’umanità», e anche, (lo dice con fierezza) «il senso del dovere», riflesso di papà, uno dei primi ingegneri chimici usciti dall’università di Roma. Superata l’impasse iniziale, «ero una ragazza timida, appena arrivata mi sono accorta di essere l’unica bruna lì in mezzo, avevo il timore di non essere accettata», gli anni danesi la proiettano in una società «per certi versi anni luce avanti rispetto ad altri paesi europei» e le lasciano un dono inestimabile: «la fiducia come donna». Una fiducia nei propri mezzi che Barbara sfrutta al meglio «ho avuto la possibilità di compiere scelte che né mia nonna né mia madre poterono fare» ed ecco che a 19 anni, Barbara, si trasferisce a Londra, «una città che ti dà le opportunità di diventare quel che sogni, e che nel frattempo ti insegna il valore della meritocrazia, e di come affrontare la competizione. Una lezione da imparare». Qui si iscrive alla “London School of Economics”, dove studia relazioni internazionali, prima di concludere un master alla City University, sul cui prestigioso “wall of fame” la sua foto fa tutt’ora compagnia  a quella di altri mostri sacri del giornalismo. Finiti gli studi si aggiudica un’internship alla CNN, a cui approda alla vigilia della guerra del Golfo. A quei tempi ai microfoni dell’emittente in diretta da Baghdad c’era Christiane Amanpour «una giornalista magnetica, e di grande ispirazione». Nel 2000 arriva alla BBC, dove dopo un periodo di gavetta, «sveglia alle 5 di mattina e, appena arrivata, prepari anche il tè ai colleghi» viene impiegata come reporter per BBC London News. Tre anni dopo passa a Sky News, con cui segue diversi grandi eventi internazionali, come i funerali di Papa Giovanni Paolo II e il processo a Michael Jackson. Nel 2005 ecco la prima ciliegina di una carriera dalle tante soddisfazioni: assunta da Channel 5, ricopre il ruolo di conduttrice. È la prima volta che in Gran Bretagna una giornalista    non di madrelingua inglese presenta un telegiornale in prima serata:       la straniera è stata accettata, e ora entra dolcemente nelle case di milioni di persone. «Non è stato facile», – a Sky volevano metterla alla porta per il suo accento dopo pochi mesi, «risposi che era un problema risolvibile» e alla loro obiezione sul fatto che si trattasse di una mission impossible Barbara rispose «non avete mai conosciuto qualcuno come me, linguisticamente parlando». Detto fatto. Vi rimase per altri tre anni. Nel 2007 inizia la sua carriea nella sede Londinese  di Al Jazeera English, il canale satellitare «che fa dell’attenzione al diverso e del pluralismo la sua arma principale». Una pluralità che porta AJE ad essere per milioni di persone l’emittente di riferimento per i grandi temi che riguardano il Medio Oriente. Ultimo esempio, la copertura della primavera araba, in cui Al Jazeera (come già successo nel dopo l’11 settembre) ha svolto un ruolo di primo piano, «senza nulla togliere alle anglosassoni BBC e CNN”. Un’eterogeneità che si rispecchia nella variegata redazione in cui Barbara si trova a lavorare «siamo un’emittente araba, ma in redazione ci sono cattolici, ebrei e protestanti, questo rende il tutto molto più bilanciato” e che contribuisce alla libertà del network, «siamo una TV che non si fa problemi a chieder conto ai leader mediorientali, e non solo». Con AJE ha firmato reportage e inchieste internazionali, da Washington alla striscia di Gaza, Barbara si trova spesso in prima linea con i protagonisti della grande storia,  e non teme di affrontarli sul loro stesso terreno, come successe con alcuni generali israeliani o palestinesi, indispettiti dalle sue domande; «un motivo di orgoglio per una giornalista». Nel 2009 segue Papa Benedetto XVI nel suo viaggio in terra santa, come giornalista accreditata nella delegazione Papale.   È la prima volta che accade ad una giornalista dell’emittente araba, un evento che per qualcuno rappresenta un piccolo, ma autentico, ponte tra culture e religioni differenti. Ovviamente non potevano mancare le collaborazioni con la Tv Italiana: ospite fisso di Tv Talk, il programma di Rai 3 incentrato sulle televisioni internazionali, dal 2011 è conduttrice di Cosmo, un programma di divulgazione scientifica che affronta i grandi temi del futuro, che le hanno persino valso l’appellativo di “donna di scienza”. Ora Barbara Serra, seduta sul divano di un elegante e accogliente appartamento nel West Londinese, può dire di aver esaudito i suoi sogni. La bambina timida è divenuta una giornalista di fama internazionale. Le chiedo quale sia il suo segreto, quale sia il suo mantra. Lei, incorniciando un sorriso che nasconde l’imbarazzo di una domanda un po’ impertinente, mi confida il suo “bumper sticker wisdom”, le frasi racchiuse dagli adesivi che in America sono soliti appiccicare al paraurti delle macchine: «winners do what losers don’t want to do». Ambizioso, non c’è che dire, ma onesto e, a buon merito, azzeccato.

Federico Gatti

Milanese di nascita e londinese di adozione, Federico, classe ‘83, è sbarcato nella perfida Albione nel 2009 per un master in giornalismo alla City University. Dopo una breve ma sfiziosa carriera da critico culinario durante gli studi, Federico è stato “arruolato” dal “Bureau of Investigative Journalism”, dove ha imparato che si può condurre un’inchiesta e al contempo vivere un’avventura. Qui ha realizzato inchieste su criminalità organizzata, Fondi Europei e diritti umani per conto di diversi media internazionali, tra cui il Financial Times, Channel4, Al Jazeera English e la BBC, con la quale si è aggiudicato il “Thompson Reuters Repoting Europe Prize 2011”, per un documentario sui Fondi Strutturali. Dal novembre 2011 Federico è anche il corrispondente da Londra di TGCom24, il canale ALL NEWS del gruppo Mediaset, nonchè co-fondatore della prima “appzine” italiana, “L’Indro”. Quando può, è lieto di dare il suo punto di vista sui temi d’attualità, e da Londra a tutt’oggi ha già collaborato con diversi media italiani, tra cui la Rai, Mediaset, ANSA, La Repubblica e Radio24. Fiero di considerarsi giornalista, Federico ha ancora tutto da imparare, e lo fa come può, una storia alla volta.

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