Sento una brezza leggera spostare i miei capelli, il tepore estivo mi distende. Davanti a me, sul grande schermo, un canyon del Far West, e appare lui, il protagonista, Robert Mitchum, nel mitico film di Raoul Walsh. Siamo in un drive-in americano? No, decisamente no. Mi trovo a Bologna, e non c’è nessuna Cadillac in vista. Tutti seduti fianco a fianco, migliaia di occhi sotto le stelle, fissi sullo schermo. La cornice è Piazza Maggiore, con la sua cattedrale e i suoi palazzi maestosi che racchiudono lo spazio del cinema all’aperto in un dolce silenzio.
Ma gli spettacoli ai quali ho assistito a fine giugno, a Bologna, nell’ambito de “Il Cinema Ritrovato”, danno perfettamente il senso del viaggio. Obiettivo centrato dagli organizzatori della rassegna. Tra la celebre Piazza Maggiore, dove l’iniziativa è stata inaugurata il 21 giugno scorso, e le sale dei cinema storici come il Lumière, l’Arlecchino e il Jolly, per ben otto giorni si è potuto godere di un’offerta di pellicole che ha fatto di questo festival uno dei più interessanti in tutta Italia. Dalle 9 sino a tarda serata è stato un susseguirsi di proiezioni, tra produzioni recenti e “antiche”, suddivise in quattro temi: “La macchina del tempo” con ben 96 pellicole di 100 anni fa, “Cinema documentario invisibile”, con i grandi maestri italiani, “Il paradiso dei cinefili” con pellicole sconosciute, ritrovate e a volte restaurate, e “Non solo film”, con appuntamenti dedicati agli operatori del settore. Un viaggio, insomma, dai film muti di inizio Novecento fino alla crisi del ‘29, ai documentari allo stesso tempo commoventi e che colpiscono a fondo, firmati dall’artista visionario Mario Ruspoli. Un lungo percorso che ha toccato l’India, il Giappone e l’Argentina dell’emigrazione italiana. Ma la rassegna non ha solo raccolto con maestria film che hanno tuttora risonanza, è stato soprattutto un festival che ha fatto riscoprire film anche in chiave tecnologica. Ma attenzione: non si pensi che il digitale abbia fatto da padrone. La rassegna ha presentato il cinema per tutti i gusti, tanto per chi ama la tradizione, tanto per chi è proiettato nel futuro. Insomma, un’offerta completa. Ma cosa si intende per nuova cinefilia? Roy Menarini, uno dei curatori del programma sotto la direzione artistica di Peter von Bagh, afferma: «La nuova cinefilia non si basa su un atteggiamento di sfiducia nei confronti del “nuovo” e sul cosiddetto tramonto dell’aura cinematografica, bensì pensa a rilanciarla in altre forme». Dunque l’obiettivo dell’edizione del festival 2012 è stato quello di far dialogare le varie generazioni. Una realtà speculare tra chi predilige il salotto di casa con un’ampia scelta di dvd, o chi si affida al computer, e chi non rinuncia alla vecchia, cara, sala. Quale lo strumento principe che unisce il popolo cinematografico? La tecnologia. Un esempio per tutti, la proiezione del kolossal “C’era una volta in America” di Sergio Leone. È stato sottoposto ad uno straordinario restauro, con il recupero di 26 minuti che erano stati tagliati all’uscita del film. Indimenticabile il protagonista, Robert De Niro, Noodles, che si muove all’interno di un gruppo di ragazzi ebrei a New York. La trama si basa sul romanzo “Mano armat”a di Harry Gray, ex gangster che Leone aveva incontrato durante la lavorazione. Il film, frutto di una équipe di sceneggiatori italiani di un certo calibro (Kim Arcalli, Enrico Medioli, Leo Benvenuti e Piero De Bernardi) e di ben 11 anni di fatica, ha suscitato grande interesse anche durante questa recente rassegna cinematografica. Quando, pochi giorni dopo la mia visita a Bologna, ho raccontato a mio padre, che vive nel profondo Midwest d’America, che vide il film per la prima volta negli USA, ha esclamato: «Era uno dei miei preferiti». Forse però nel 1984 lo aveva visto nella sua versione americana, di un’ora e 34 minuti, contro quella uscita in Europa di ben 4 ore. Il film aveva subito parecchi tagli! La versione ricostruita in occasione del festival è di 4 ore e 15 minuti, grazie ad un grande lavoro finanziato da Gucci e The Film Foundation ed il restauro eseguito a Bologna dal laboratorio “L’Immagine Ritrovata” in collaborazione con Andrea Leone Film, The Film Foundation e Regency Enterprises. Un restauro davvero “straordinario” perché, dopo la scansione del negativo originale alla Warner Bros Motion Picture Imaging a Los Angeles, il film è stato digitalmente restaurato in 4K alla Cineteca di Bologna. I positivi mal conservati, ovvero le scene tagliate, sono state ricucite nella trama del kolossal. E quindi, la sera della proiezioni, come anche in altri momenti del festival, stavo lì in mezzo a tanti spettatori, incantata in parte dal cast magnetico, in parte dal racconto scandito da recitazione e inquadrature eccezionali per la loro liricità, e un po’ anche dallo stupore di conoscere una parte dell’anima di questo film, con le scene reinserite esattamente dove erano state tagliate. Insomma, potevo vedere sì il film completo, come all’origine, ma nello stesso tempo contaminato dalla tecnica digitale odierna. Una riscoperta felice, propria della nuova cinefilia. I luoghi bolognesi de “Il Cinema Ritrovato” sono stati così palcoscenico di questo cambiamento, dove gli operatori del settore e il pubblico stanno imparando a muoversi. Non potevo che guardare la città stessa e legarla alle immagini del terremoto che ha colpito l’Emilia Romagna. Catapultata nell’instabilità, la gente che vive in questi luoghi per ora sta ricostruendo ciò che è andato distrutto in pochi minuti, ma possiamo stare certi che lo farà con l’ottimismo e la creatività che sono propri di questa terra. La faccia della provincia bolognese è cambiata, ma la sua anima e la sua cultura sono più vibranti che mai, in evoluzione, come l’arte, come il cinema.