Sono sempre stato affascinato dalle persone capaci di abbandonare tutto e tutti, prendere la propria famiglia e attraversare il mare per ricominciare da capo, come hanno fatto gli immigrati italiani nel secolo scorso. A volte per necessità. Senza lavoro o in fuga. Altre volte invece per ambizione o come sfida personale, per dimostrare a se stessi che ce la potevano fare. Così come fece mio zio arrivando a realizzare costumi per alcuni dei più famosi spettacoli di Broadway. Prima l’emozione, l’adrenalina, la paura. Poi la sofferenza, la fatica e a volte la disillusione. E ancora la paura. Alla fine però, dopo impegno e duro lavoro, la nuova vita. Senza però mai rinnegare le proprie origini, anzi, cercando di tramandare ai figli e ai nipoti i valori fondamentali della nostra cultura. Famiglia, cibo, creatività, grandissima determinazione. Ecco gli italo-americani. La storia di queste persone, dei loro sogni, del loro coraggio è celebrata a New York dall’Italian American Museum in Mulberry Street a Little Italy. Questo grazie all’idea e all’impegno del suo fondatore, il Dott. Joseph V. Scelsa, decano del Calandra Institute (Istituto di Cultura Italiana a New York). Il museo è collocato in uno storico edificio che nel 1885 ospitava la Banca Stabile, che offriva finanziamenti agli immigrati appena sbarcati. Fondato nel 2001, oggi il museo ospita una raccolta di oggetti – tutti ricevuti per donazione – che celebrano famosi italo-americani come il militare pluridecorato Sgt. Anthony Peronace, il giudice John E. Sprizzi, i poliziotti Joe Petrosino e Frank Serpico. Foto d’epoca, biglietti della traversata oceanica, vecchi passaporti, lettere scritte a mano raccontano poi le varie fasi dell’immigrazione, come è ricordata e come è stata vissuta. Il museo è un punto di riferimento per chi vuole saperne di più sulla cultura italo-americana, ma soprattutto risponde alla necessità delle nuove generazioni, che spesso non parlano neanche italiano, perché, come afferma lo stesso Scelsa, «non si può conoscere sé stessi senza conoscere le proprie origini».