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Dal buio, l'immagine

È stata la fotografia a trovarmi: mi ha colto alla sprovvista, si è dimostrata il mezzo ideale per esprimermi e, a poco a poco, ha ingoiato tutto il mio tempo. Una fedele compagna di viaggio attraverso paesaggi sempre nuovi e inesplorati, una luce sui miei desideri e un’immagine delle mie aspirazioni.
Chiamo “esperimenti sperimentali” l’espressione dei miei sentimenti, realizzata attraverso la luce e soprattutto il suo contrapposto, il buio, il punteruolo e il martello con il quale l’intenzione si fa suggestione. Spengo le luci e delineo i soggetti di sensazioni e fantasie, attraverso le loro stesse forme e i loro colori. Ogni loro piega, ruga o accessorio posto davanti all’obbiettivo viene prima vagliato dalla mia attenzione e poi, nell’oscurità, dalla piccola torcia che oriento nel tentativo di far venir fuori con nitidezza la “mia” immagine.
La fotografia passa anche attraverso le immagini che disegnano le linee grafiche e le impaginazioni dei testi, il susseguirsi delle pagine, autori e contenuti che raccolgono il linguaggio vivo della fotografia, dell’arte e della cultura, un pout-pourri di intenzioni e sentimenti da cui è nato anche un progetto editoriale teso all’espressione della bellezza condivisa in 96 paesi del mondo e che raccoglie le foto, le idee, le innovazioni. Così mi impegno a monitorare l’evolversi di quel linguaggio comunicativo ed espressivo che mantiene viva la cultura attraverso uno scambio intenso e non esclusivamente fotografico.
Tutto converge a Palermo, città delle contraddizioni e degli innesti. Forse, proprio per quest’attitudine, l’ideale bacino di convergenze che si possono rintracciare in un passato non troppo lontano. È qui che, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, dallo sbarco dei Mille alla Belle Époque, si ritrovarono, e non per caso, gli interessi economici europei e proseguì lo scambio tra le grandi culture mediterranee iniziato prima di Cristo. La stessa Palermo, espressione dell’arte floreale nota come Liberty, che diede i natali a Ernesto Basile, uno tra i primi esponenti del Modernismo italiano. Ecco, fu in quel felice momento storico della città che i quattro fotografi della famiglia Incorpora cominciarono a raccontarne la storia insieme ai fratelli Lumière e agli Interguglielmi, rari cultori della nuova arte di dipingere con la luce. Il 9 maggio 1943 Palermo, occupata dai tedeschi, fu devastata dalle bombe americane che colpirono anche la Real Casa, la loggia fotografica, le sue attrezzature, i macchinari. Le gelatine delle 70.000 lastre, prodotte in ottant’anni di lavoro, catalogate e conservate nell’archivio nello scantinato, furono sommerse dall’acqua fuoriuscita dalle tubature esplose e si decomposero, cancellando irrimediabilmente la luce che raccontava gli splendori di quella Palermo.
Le poche immagini sopravvissute al disastro riescono, nei momenti di sconforto, a farmi riamare questa città bellissima e oscura, dalla quale cui non si vorrebbe mai partire e da cui, al tempo stesso, si finisce sempre per fuggire. Una città non solo difficile da vivere ma per uno come me, giovane e digiuno di passato, ancora più difficile da raccontare. Ma le immagini restano e riempiono tutte le parole dandomi l’entusiasmo e l’energia necessari per scattare le foto che ho in mente, quella realtà che è allo stesso tempo un sogno.

Biografia Flavio Vicari
Flavio Vicari, nato a Palermo nel 1984, si avvicina giovanissimo al mondo della fotografia professionale, ancor prima d’aver completato gli studi di Grafica Pubblicitaria. Dopo varie collaborazioni in diverse agenzie pubblicitarie e studi fotografici, si impone all’attenzione del pubblico in qualità di organizzatore e direttore esecutivo di mostre e manifestazioni. Le sue foto hanno riscosso enorme successo anche all’estero.
La sua tecnica è quella del light-painting, cioè “dipingere con la luce”; in questo caso, con l’ausilio di una torcia a led e di un ambiente ricercatamente buio, si delineano per contrasto i contorni dei soggetti da rappresentare.
«Le foto in light-painting di Vicari – dice il critico d’arte Aldo Gerbino – mi hanno molto impressionato, sia tecnicamente sia emotivamente. Sul piano creativo riesce a dar corpo e sostanza a una qualità che, in genere, si dissolve nella foto da posa: il saper consegnare nudità psicologica al soggetto. Pur nella ricchezza dei dettagli e nell’obbligo della postura egli riesce a restituire tanto l’agilità intellettiva quanto una certa crudezza esistenziale; anche in virtù di quelle “caravaggesche” suggestioni dettate dalle luci e dalle ombre, dall’intreccio di linee disposte, per intensità molecolare, su volti e oggetti, attraverso la corporeità o solitari vertici di sguardi».

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